Il legame tra intelligenza e solitudine, spesso evocato come un tratto caratteristico del genio solitario, ha trovato conferme scientifiche.
Studi recenti, condotti da esperti come Norman P. Li dell’Università di Singapore e Satoshi Kanazawa della London School of Economics, hanno indagato le dinamiche psicologiche ed evolutive che spiegano perché le persone con un alto quoziente intellettivo tendano a preferire la solitudine rispetto alla compagnia sociale. Attraverso un’analisi dettagliata di un vasto campione di giovani adulti britannici, questi ricercatori hanno portato alla luce evidenze che ribaltano alcune convinzioni comuni sul benessere sociale e l’interazione umana.
Il lavoro di Li e Kanazawa si basa sui dati della National Longitudinal Study of Adolescent Health, che ha coinvolto circa 15 mila giovani tra i 18 e i 24 anni. I risultati, pubblicati sulla rivista British Journal of Psychology, mostrano che mentre la maggior parte delle persone trae beneficio emotivo dall’interazione sociale, per gli individui “altamente intelligenti” la situazione si inverte: più tempo trascorrono da soli, più il loro umore tende a migliorare.
Questa tendenza trova spiegazione nella psicologia evolutiva, disciplina che analizza i comportamenti umani come adattamenti sviluppatisi nel corso di milioni di anni. In epoche remote, la sopravvivenza dipendeva fortemente dalla capacità di cooperare e vivere in gruppi sociali: la compagnia era quindi un bisogno fondamentale. Tuttavia, secondo i ricercatori, le persone dotate di un cervello meno “primitivo” – cioè più evoluto – mostrano un minor bisogno di interazione sociale, potendosi permettere di scegliere la solitudine senza incorrere in svantaggi evolutivi. Come ha spiegato Kanazawa in un’intervista a Inverse, “gli individui molto intelligenti tendono a manifestare preferenze ‘innaturali’: mentre per l’uomo la cosa più naturale è cercare la compagnia di altri, queste persone la ricercano meno”.
L’intelligenza e i comportamenti sociali: fedeltà e adattamento
Gli studi di Kanazawa non si limitano alla solitudine, ma esplorano anche altre sfaccettature della psicologia evolutiva, come il legame tra intelligenza e fedeltà nelle relazioni sentimentali. Nel suo saggio pubblicato su Social Psychology Quarterly, il professore della London School of Economics sostiene che gli uomini più intelligenti tendono a essere più fedeli e meno inclini all’infedeltà rispetto ai loro coetanei meno dotati intellettualmente. Questo fenomeno è interpretato come un adattamento evolutivo, dove l’intelligenza permette di riconoscere il valore della stabilità relazionale in un contesto sociale in rapido cambiamento.
Kanazawa ha inoltre evidenziato come le novità evolutive, quali la monogamia sessuale esclusiva, siano adottate principalmente dagli individui più intelligenti, che mostrano una maggiore capacità di adattamento. Al contrario, chi fatica ad adattarsi a questi cambiamenti tende a comportarsi in modo meno “evoluto” e più impulsivo.

L’importanza della solitudine nella vita contemporanea (www.escursionando.it)
I risultati delle ricerche di Li e Kanazawa assumono particolare rilievo nel contesto attuale, dove le interazioni sociali sono spesso mediate da strumenti digitali e social network, e la pressione a essere costantemente connessi è elevata. La capacità di apprezzare la solitudine può rappresentare un vantaggio psicologico, soprattutto per chi possiede un’intelligenza superiore alla media, offrendo uno spazio di riflessione, creatività e benessere personale.
Questa attitudine non deve essere però confusa con forme di isolamento o misantropia patologica. La solitudine scelta e consapevole può infatti essere un segno di salute mentale e di capacità di autoregolazione emotiva, aspetti sempre più riconosciuti dalla comunità scientifica come fondamentali per il benessere psicologico.
Un ritratto attuale del “genio solitario”
L’immagine del genio isolato ha radici profonde nella cultura popolare e letteraria, ma oggi trova un fondamento scientifico sempre più solido. Studi come quelli di Li e Kanazawa aiutano a comprendere che la preferenza per la solitudine non è necessariamente un segno di disagio o di una deviazione sociale, ma può riflettere un’evoluzione del cervello umano che permette una diversa gestione delle relazioni e delle emozioni.
Il loro lavoro, inoltre, invita a ripensare i modelli sociali e le aspettative culturali sul bisogno di interazione, riconoscendo la diversità delle preferenze individuali. Nella società contemporanea, dove la connettività è spesso vista come un valore assoluto, è importante valorizzare anche la dimensione della solitudine come componente essenziale della vita di molte persone, in particolare di quelle dotate di elevate capacità cognitive.
La solitudine come scelta evolutiva per chi è più intelligente(www.escursionando.it) 






