Come arrivare: Da
Ovada si raggiunge Molare da cui si percorre la SP 205
fino al km 1+500, in direzione Cassinelle-Olbicella,
quindi al successivo incrocio si svolta a sinistra per
San Luca–Olbicella, si prosegue sulla SP 207 e
all’altezza del km 5+800 si prende sulla destra la
strada comunale che conduce alla frazione di San Luca.
Prima del bivio si scende a sinistra in direzione della
diga di Ortiglieto e si parcheggia bordo strada.
Premessa:
entrando in Val Grande sul sentiero che da Ompio va a
Corte Buè, in località Belmell Frecc, sorge un cippo
commemorativo che ricorda un tragico evento avvenuto nel
1935 quando un violento nubifragio fece precipitare un
aereo da ricognizione e nell’incidente perirono il
sergente maggiore pilota Aristide Marchi e il tenente
osservatore R.E. Raffaele Antonelli. L’avvenimento è
ricostruito da Pietro Pisano: autore delle ricerche e
dell’articolo pubblicato su “
Vallintrasche 2010-L’ala che li disperse li raccolse
” 1935 una tragedia aerea in Valgrande. In quello stesso
giorno e alla stessa ora
straordinarie precipitazioni iniziarono ad abbattersi
improvvisamente sulle valli di Orba e Stura generando
un
nubifragio di inaudita violenza
che ha unito nella malasorte la Liguria di Molare con il
Piemonte di Ovada e della Val Grande
provocando una immane tragedia: il disastro di Molare.
“
il
13
agosto 1935, lo sbarramento di Sella Zerbino (che insieme
alla diga creava il lago di Ortiglieto) cedette, creando
un'onda di piena sul corso del fiume Orba. L'enorme
massa d'acqua spazzò la valle dell'Orba, giungendo fin
oltre Ovada e causando più di cento vittime, oltre ad
innumerevoli danni materiali. In seguito al disastro,
anche il corso del fiume stesso fu modificato. La diga
principale non riportò invece alcun danno, ed è oggi un
interessantissimo monumento di questo “ Vajont
dimenticato delle Alpi Liguri
”.
Per le informazioni complete e molto dettagliate sulla
storia di Molare, consultare il sito (
www.molare.net
). Il tragico evento, oltre che nel sito sopracitato, è
ampiamente trattato nel libro del geologo molarese,
Dott. Vittorio Bonaria “
storia della diga di Molare, il Vajont dimenticato
‟ edito dalla ERGA di Genova.
Questa tragica
coincidenza ci ha incuriositi al punto da voler renderci
conto di persona di quanto accaduto e visitare la diga
per stipulare una sorta di “ gemellaggio ‟ collegando
idealmente i due fatti avvenuti in ambienti diversi e
molto distanti fra loro.
Descrizione itinerario:
non conoscendo la zona, chiediamo aiuto agli amici del
CAI di Ovada che, molto cortesemente, si offrono di
farci compagnia nella visita all’area di nostro
interesse. Dopo un fitto scambio di mail, arriva il
giorno convenuto per effettuare l’escursione e ci
ritroviamo con
Niccolò e Giovanni
ad Ovada da dove procediamo per Molare/Diga di
Ortiglieto. Parcheggiate le auto iniziamo a camminare
per raggiungere la diga oggetto del nostro viaggio;
scendiamo in direzione della centrale elettrica e
piegando a sinistra raggiungiamo il desabbiatore ed il
greto del Fiume Orba che guadiamo per risalire sul lato
opposto della montagna per entrare nel bosco e seguire
il corso del
torrente Ritano delle Brigne.
Quando traguardando fra le fronde ancora spoglie di
vegetazione si intravedono i
contorni della diga,
guadiamo facilmente il torrente ed in breve ci
ritroviamo ai
piedi della diga
che, con la sua torretta centrale ci appare gigantesca.
Risalendo il costone sulla nostra sinistra, usciti dal
bosco, raggiungiamo quella che fu la
casa del custode
da cui si presenta improvvisamente ai nostri occhi,
disteso fra Bric Zerbino e Bric Saccone, lo
sbarramento della diga
principale di Bric Zerbino che generò l’invaso
idroelettrico di Ortiglieto: ancora intatto dopo 82 anni
dal disastro, abbandonato ed isolato, rimasto come
inutile spettro di archeologia idraulica nella storia
della valle Orba. Percorriamo la corona sommitale della
diga da cui possiamo osservare gli
evacuatori di piena:
12 scaricatori autolivellatori a sifoni da un lato,
mentre dall’altro sono visibili gli enormi
bocchettoni scolmatori.
Al centro sorge una
torretta a due piani
che ospitava la cabina di manovra della valvola di
scarico centrale, visibile sul fondo della diga. La
vista dell’imponente manufatto, che si erge come una
cattedrale nel deserto, è spettrale e restiamo sgomenti
di fronte ad un’opera così grandiosa costruita per
sbarrare un fiume che ora ha preso un altro corso. Nella
zona non si odono rumori di alcun genere, solo le nostre
voci rompono il silenzio che regna sovrano mentre lo
sguardo vaga alla ricerca di un bacino idrico
inesistente. La curiosità ci porta ad entrare nel corpo
della diga e scesi pochi gradini, sulla parete una
piastrella ceramica indica la
quota di massimo invaso,
non osiamo procedere oltre e ritorniamo sui nostri passi
per raggiungere di nuovo il
cancello di entrata
alla corona sommitale. Nel frattempo, Niccolò ci
illustra le caratteristiche principali della diga e del
territorio circostante, dando prova della sua profonda
conoscenza del territorio a cui è giustamente legato e
affezionato. Terminata la visita alla struttura, ci
incamminiamo lungo il sentierino che, prendendo avvio
dal margine sinistro della diga, scende la costa boscosa
e perviene ai margini di quella che oggi è divenuta
l’area umida del meandro del Bric Zerbino.
Guidati da Niccolò, tenendoci ai margini della zona
umida a tratti invasa da un gran numero di detriti
portati da precedenti esondazioni del vecchio corso del
fiume, con un percorso wilderness, raggiungiamo
la spaccatura
dove ha ceduto la diga secondaria che ha generato
l’immane tragedia e dove
scorre il nuovo corso
che il fiume si è creato. Attraversato il fiume, dopo
una breve risalita raggiungiamo di nuovo la strada da
cui ritorniamo alle macchine chiudendo così l’anello del
Bric Zerbino. Terminata la visita alla diga e
soddisfatti per aver realizzato il “ gemellaggio ” tra i
due tragici avvenimenti, ci trasferiamo nel Comune di
Bosio: a Capanne di Marcarolo, da cui prende il nome
l’omonimo Parco
Naturale.
Qui sostiamo presso la
baita sociale “ Mulino Nuovo ”,
oggi adibito a rifugio gestito dal Club Alpino Italiano,
dove il gentilissimo Niccolò ci ha prenotato il
pernottamento. Il mulino, situato a 700 metri d’altezza,
appartenuto alla Famiglia Spinola( una delle più nobili
ed antiche famiglie genovesi che contrassegnarono la
vita politica della Repubblica di Genova ) ristrutturato
nel 1998, dispone di luce, acqua potabile, gas, cucina
attrezzata con 40 coperti e 25 posti letto,
è ora proprietà della Regione Piemonte che lo ha
destinato a ricettività per camminatori ed
escursionisti. Dalla località “ I Foi ”, dove abbiamo
parcheggiato, seguiamo lo sterrato che in meno di venti
minuti ci permette di raggiungere il Mulino Nuovo. Preso
possesso della struttura, depositiamo i nostri “ bagagli
” e, grazie all’ora legale, ci resta anche il tempo per
effettuare l’escursione lungo il “
Sentiero della Pace
”. Rientrati al rifugio, dove
Attilio si è cortesemente fermato per preparare la cena,
troviamo tutto predisposto e non ci resta altro che
accomodarci al tavolo per gustare un
ottimo risotto a cui fa
seguito un succulento
bollito misto.
Terminata la giornata, tutti contenti e soddisfatti ci
ritiriamo nelle ordinate camerette dove con una bella
dormita recuperiamo le forze che ci serviranno il giorno
dopo per recarci ai
laghi del Gorzente.
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