Valle Orba


Diga di Molare e Alto Ovadese
 

 
 Gita effettuata in data:30-31-Marzo-2017                                                      

 Partenza da:Diga di Ortiglieto  m.296
 Dislivello totale: m.230
 Difficoltà: EE
 Effettivo cammino h: 3,30

Come arrivare: Da Ovada si raggiunge Molare da cui si percorre la SP 205 fino al km 1+500, in direzione Cassinelle-Olbicella, quindi al successivo incrocio si svolta a sinistra per San Luca–Olbicella, si prosegue sulla SP 207 e all’altezza del km 5+800 si prende sulla destra la strada comunale che conduce alla frazione di San Luca. Prima del bivio si scende a sinistra in direzione della diga di Ortiglieto e si parcheggia bordo strada.

 

Premessa:
entrando in Val Grande sul sentiero che da Ompio va a Corte Buè, in località Belmell Frecc, sorge un cippo commemorativo che ricorda un tragico evento avvenuto nel 1935 quando un violento nubifragio fece precipitare un aereo da ricognizione e nell’incidente perirono il sergente maggiore pilota Aristide Marchi e il tenente osservatore R.E. Raffaele Antonelli. L’avvenimento è ricostruito da Pietro Pisano: autore delle ricerche e dell’articolo pubblicato su “
Vallintrasche 2010-L’ala che li disperse li raccolse ” 1935 una tragedia aerea in Valgrande. In quello stesso giorno e alla stessa ora
straordinarie precipitazioni iniziarono ad abbattersi improvvisamente sulle valli di Orba e Stura generando un nubifragio di inaudita violenza che ha unito nella malasorte la Liguria di Molare con il Piemonte di Ovada e della Val Grande provocando una immane tragedia: il disastro di Molare.
il 13 agosto 1935, lo sbarramento di Sella Zerbino (che insieme alla diga creava il lago di Ortiglieto) cedette, creando un'onda di piena sul corso del fiume Orba. L'enorme massa d'acqua spazzò la valle dell'Orba, giungendo fin oltre Ovada e causando più di cento vittime, oltre ad innumerevoli danni materiali. In seguito al disastro, anche il corso del fiume stesso fu modificato. La diga principale non riportò invece alcun danno, ed è oggi un interessantissimo monumento di questo “ Vajont dimenticato delle Alpi Liguri . Per le informazioni complete e molto dettagliate sulla storia di Molare, consultare il sito ( www.molare.net ). Il tragico evento, oltre che nel sito sopracitato, è ampiamente trattato nel libro del geologo molarese, Dott. Vittorio Bonaria “ storia della diga di Molare, il Vajont dimenticato ‟ edito dalla ERGA di Genova. Questa tragica coincidenza ci ha incuriositi al punto da voler renderci conto di persona di quanto accaduto e visitare la diga per stipulare una sorta di “ gemellaggio ‟ collegando idealmente i due fatti avvenuti in ambienti diversi e molto distanti fra loro.

Descrizione itinerario:
non conoscendo la zona, chiediamo aiuto agli amici del CAI di Ovada che, molto cortesemente, si offrono di farci compagnia nella visita all’area di nostro interesse. Dopo un fitto scambio di mail, arriva il giorno convenuto per effettuare l’escursione e ci ritroviamo con Niccolò e Giovanni ad Ovada da dove procediamo per Molare/Diga di Ortiglieto. Parcheggiate le auto iniziamo a camminare per raggiungere la diga oggetto del nostro viaggio; scendiamo in direzione della centrale elettrica e piegando a sinistra raggiungiamo il desabbiatore ed il greto del Fiume Orba che guadiamo per risalire sul lato opposto della montagna per entrare nel bosco e seguire il corso del torrente Ritano delle Brigne. Quando traguardando fra le fronde ancora spoglie di vegetazione si intravedono i contorni della diga, guadiamo facilmente il torrente ed in breve ci ritroviamo ai piedi della diga che, con la sua torretta centrale ci appare gigantesca. Risalendo il costone sulla nostra sinistra, usciti dal bosco, raggiungiamo quella che fu la casa del custode da cui si presenta improvvisamente ai nostri occhi, disteso fra Bric Zerbino e Bric Saccone, lo sbarramento della diga principale di Bric Zerbino che generò l’invaso idroelettrico di Ortiglieto: ancora intatto dopo 82 anni dal disastro, abbandonato ed isolato, rimasto come inutile spettro di archeologia idraulica nella storia della valle Orba. Percorriamo la corona sommitale della diga da cui possiamo osservare gli evacuatori di piena: 12 scaricatori autolivellatori a sifoni da un lato, mentre dall’altro sono visibili gli enormi bocchettoni scolmatori. Al centro sorge una torretta a due piani che ospitava la cabina di manovra della valvola di scarico centrale, visibile sul fondo della diga. La vista dell’imponente manufatto, che si erge come una cattedrale nel deserto, è spettrale e restiamo sgomenti di fronte ad un’opera così grandiosa costruita per sbarrare un fiume che ora ha preso un altro corso. Nella zona non si odono rumori di alcun genere, solo le nostre voci rompono il silenzio che regna sovrano mentre lo sguardo vaga alla ricerca di un bacino idrico inesistente. La curiosità ci porta ad entrare nel corpo della diga e scesi pochi gradini, sulla parete una piastrella ceramica indica la quota di massimo invaso, non osiamo procedere oltre e ritorniamo sui nostri passi per raggiungere di nuovo il cancello di entrata alla corona sommitale. Nel frattempo, Niccolò ci illustra le caratteristiche principali della diga e del territorio circostante, dando prova della sua profonda conoscenza del territorio a cui è giustamente legato e affezionato. Terminata la visita alla struttura, ci incamminiamo lungo il sentierino che, prendendo avvio dal margine sinistro della diga, scende la costa boscosa e perviene ai margini di quella che oggi è divenuta l’area umida del meandro del Bric Zerbino. Guidati da Niccolò, tenendoci ai margini della zona umida a tratti invasa da un gran numero di detriti portati da precedenti esondazioni del vecchio corso del fiume, con un percorso wilderness, raggiungiamo la spaccatura dove ha ceduto la diga secondaria che ha generato l’immane tragedia e dove scorre il nuovo corso che il fiume si è creato. Attraversato il fiume, dopo una breve risalita raggiungiamo di nuovo la strada da cui ritorniamo alle macchine chiudendo così l’anello del Bric Zerbino. Terminata la visita alla diga e soddisfatti per aver realizzato il “ gemellaggio ” tra i due tragici avvenimenti, ci trasferiamo nel Comune di Bosio: a Capanne di Marcarolo, da cui prende il nome l’omonimo Parco Naturale. Qui sostiamo presso la baita sociale “ Mulino Nuovo ”, oggi adibito a rifugio gestito dal Club Alpino Italiano, dove il gentilissimo Niccolò ci ha prenotato il pernottamento. Il mulino, situato a 700 metri d’altezza, appartenuto alla Famiglia Spinola( una delle più nobili ed antiche famiglie genovesi che contrassegnarono la vita politica della Repubblica di Genova ) ristrutturato nel 1998, dispone di luce, acqua potabile, gas, cucina attrezzata con 40 coperti e 25 posti letto, è ora proprietà della Regione Piemonte che lo ha destinato a ricettività per camminatori ed escursionisti. Dalla località “ I Foi ”, dove abbiamo parcheggiato, seguiamo lo sterrato che in meno di venti minuti ci permette di raggiungere il Mulino Nuovo. Preso possesso della struttura, depositiamo i nostri “ bagagli ” e, grazie all’ora legale, ci resta anche il tempo per effettuare l’escursione lungo il “ Sentiero della Pace ”. Rientrati al rifugio, dove Attilio si è cortesemente fermato per preparare la cena, troviamo tutto predisposto e non ci resta altro che accomodarci al tavolo per gustare un ottimo risotto a cui fa seguito un succulento bollito misto. Terminata la giornata, tutti contenti e soddisfatti ci ritiriamo nelle ordinate camerette dove con una bella dormita recuperiamo le forze che ci serviranno il giorno dopo per recarci ai laghi del Gorzente.